IPA: dopo oltre 2 secoli sono ancora di moda
Uno degli aspetti più affascinanti del mondo birrario è la continua evoluzione e i corsi e ricorsi che nel tempo riportano alla ribalta birre e stili birrari del passato, riscoprendoli dopo qualche secolo, come innovativi e di tendenza.
IPA: uno stile del passato che oggi è di tendenza
E’ il caso delle IPA, in esteso India Pale Ale, le cui radici affondano nei primi decenni dell’800.
La India Pale Ale aveva il compito di tenere alto il morale delle truppe ma era certamente molto apprezzata anche dalla popolosa comunità inglese che si era già insediata sul territorio. Il compito di fornire la birra di casa ai soldati inglesi venne affidata alla famosa Compagnia Britannica delle Indie, braccio operativo commerciale dell’Impero.
Molto spesso la nascita di questo stile birrario viene legata, alle difficoltà di trasportare le normali birre ales inglesi in India a causa del lungo viaggio, delle condizioni climatiche e delle temperature elevate: si racconta quindi che dopo aver perso innumerevoli carichi di birra, giunta avariata e imbevibile, i birrai inglesi pensarono di alzare il grado alcolico, per aumentarne la durata, e di aggiungere più luppolo, per stabilizzare il prodotto, ed in effetti questa ricetta era ideale.
Tuttavia questa genialata non nacque, come da “leggenda”, dopo aver perso consistenti carichi di birra viaggiando verso l’India: essa era stata precedentemente ideata dai birrai britannici, i quali avevano una lunga esperienza di esportazioni in paesi lontani, e il problema l’avevano già affrontato e risolto parecchi decenni prima.
La nascita delle IPA è colpa di Napoleone
La India Pale Ale, in realtà, è un’evoluzione della Russian Stout che affonda le sue radici già nel 1780 con l’inizio dell’esportazione delle birre britanniche nei paesi baltici: essendo molto distanti dal luogo di produzione, questa birra, aveva come caratteristica una gradazione alcolica molto più elevata ( oltre 7% alc. vol.) rispetto alle birre vendute all’interno del mercato britannico, ed era invece molto apprezzata da una popolazione costretta a rigide temperature.
La Russian Stout prende il nome dal paese in cui ottenne maggior successo ed era una birra ad alta fermentazione, scura, molto luppolata e decisamente corposa; addirittura questa tipologia di birra era la preferita dell’Imperatrice Caterina la Grande, seppur di origini tedesche, tanto che le fu dedicata una versione speciale: l’Imperial Russian Stout, una Strong Ale da 10,5 gradi.
Gli anni di grande attività di export del settore birrario inglese si interruppero molto bruscamente nel 1812, a causa dell’invasione napoleonica in Russia.
Fu così che mentre gran parte dei birrifici chiudeva i battenti, George Hodgson, un personaggio particolarmente intraprendente e proprietario della Bow Brewery di Londra, stipulò un vantaggioso accordo con la Compagnia Britannica della Indie, trovando uno sbocco commerciale verso la più importante colonia britannica.
In seguito al successo di Hodgson anche altre fabbriche di birra seguirono l’esempio: si distinsero i birrifici situati a Burton on Trent, un’area nel nord dell’Inghilterra nota per la qualità delle sue acque, particolarmente adatte per la produzione delle Pale Ales.
E’ quindi molto probabile che per la produzione della famosa IPA, i mastri birrai dell’epoca si siano ispirati alle precedenti esperienze riguardanti la Russian Stout: ne mantennero le caratteristiche, attenuandone la corposità e diedero vita ad un Pales Ale più beverina e più indicata, rispetto alle Stout, ad essere consumata sotto il caldo clima indiano.
La fama delle India Pale Ales fu notevole e crebbe di anno in anno: un documento ufficiale del 1870, relativo all’esportazione, registrava la partenza verso le Indie di ben 350.000 ettolitri di questo tipo di birra, cifra notevolissima per quei tempi.
Il successo nell’export dell’India Pale Ale permise successivamente ad alcune birrerie britanniche un forte sviluppo cominciando a produrre delle IPA per altri paesi lontani legati sempre all’impero britannico: Australia, Isola di Malta, Gibilterra, Cipro ed Egitto.
Le IPA, inizialmente riservate solo all’esportazione, ebbero la possibilità di raggiungere un buon successo anche in casa, malgrado l’alta gradazione alcolica e la forte tassazione.
Abitualmente gli inglesi tendevano a preferire birre beverine a bassa gradazione alcolica, quindi i birrai non avevano ritenuto opportuno distribuirle sul mercato interno, finché, grazie ad un evento fortuito, la IPA ebbe possibilità di farsi conoscere anche all’interno del territorio: alcuni villaggi della Cornovaglia usavano attirare la navi, attraverso false segnalazioni luminose, per farle incagliare contro le scogliere così da rubarne le merci.
In uno di questi naufragi venne coinvolto un carico di IPA e gli abitanti della costa ebbero l’occasione di scoprire e apprezzare il gusto di una Ale da loro mai provata. Fu così che gli assaggi di questa IPA piovuta dal mare, furono talmente soddisfacenti da dare il via ad una richiesta presso i birrai della zona.
Non sono certo che questa storia sia vera, penso potrebbe essere solo un esempio di ciò che ad oggi chiameremmo marketing, straordinariamente inventato da qualche venditore dell’epoca.
Di fatto le Indian Pale Ale hanno proseguito la loro storia, come specialità birrarie, sia in Gran Bretagna sia nel resto del mondo, con i loro alti e bassi.
Gli USA rilanciano le IPA
Il ritorno delle IPA sulla scena è dovuto alla nascita e allo sviluppo delle craft breweries statunitensi: nel mercato americano era possibile reperire, quasi esclusivamente, birre lager a bassa gradazione alcolica e molto beverine.
La possibilità di bere qualche birra speciale di diverso gusto, colore e gradazione, veniva data dalle birre d’importazione, le quali tuttavia non erano diffuse in modo omogeneo sul territorio e in alcuni casi vi erano anche problemi di carattere burocratico poiché ogni stato aveva le sue leggi sul tipo di gradazione, etichettatura, etc
Fino all’inizio degli anni ’70, quando la birra era considerata un soft drink, gli appassionati si orientavano sulle birre tedesche, inglesi, irlandesi e belghe, cosicché alcuni importatori si specializzarono nell’offrire una gamma di birre europee.
Grazie a questa forte richiesta, da parte degli appassionati, nacquero i primi microbirrifici americani, i quali si dedicarono fin da subito a produrre nuove birre speciali di ispirazione europea ed in seguito si svilupparono sempre più velocemente fino ad oggi in cui possiamo contare circa 7.000 craft breweries.
La produzione, per questi nuovi microbirrifici, comprendeva un’ampia gamma di tipologie e paesi di origine fra cui scegliere, gli stili più diffusi furono: Porter, Stout, Ales, Bock, Doppel Bock, Pilsner, Vienna e Weizen.
Negli anni successivi non venne a mancare la voglia di innovazione, proponendo anche degli stili americani ed esteri rivisitati, come l’American Cream Ales e le American Lager.
Tornando alle IPA… per molti anni la loro potenzialità commerciale era stata sottovalutata dai microbirrifici negli Stati Uniti, fino quando, nel 1989, vennero incluse come categoria al concorso del Great American Beer Festival, e fu, addirittura, fu proprio una IPA a vincere la medaglia d’oro: la “Rubicon India Pale Ale” prodotta a Sacramento.
Da qual momento l’interesse per le IPA crebbe in modo esponenziale; oggi le American IPA si declinano in diverse varianti, ognuna con le sue caratteristiche, e nel mercato americano rappresentano attualmente il 22% della produzione.
IPA: Dall ‘Europa è partita ed in Europa è tornata
Il grande successo riscosso delle India Pale Ale negli USA ha risvegliato anche i birrifici europei: le originali IPA britanniche, hanno ispirato numerose varietà nel nostro continente e ovviamente anche l’Italia propone le sue versioni.
Quali sono le differenza tra una variante e l’altra? Difficile dirlo… di fatto le IPA moderne non sempre hanno tutte le caratteristiche tipiche della India Pale Ale originale.
Infondo dobbiamo considerare che sono cambiate tante cose: le tecniche di produzione, i diversi luppoli disponibili sul mercato, i quali non sono gli stessi della ricetta originale, ed infine quando un mastro birrario vuole produrre una tipologia di birra, non copia mai una ricetta alla lettera ma ci mette del suo.
In questo contesto creativo è stato interessante veder nascere delle estremizzazioni opposte dello stesso stile, ad esempio le Light IPA e le Double IPA.
Quindi come facciamo a scegliere quale birra bere davanti ad una così ampia scelta di varianti intorno a questo stile?
L’unico suggerimento che posso darvi è di provarle tutte e scegliere la vostra preferita.
Io personalmente quando bevo una IPA mi piace trovare queste caratteristiche:
1) Colore giallo ambrato non molto carico
2) Grado alcolico sopra i 7%
3) Corpo di media intensità
4) Gusto amaro, deciso ma che, comunque, mi lasci in bocca
un buon sentore aromatico
Concludendo quello delle IPA è un argomento molto intrigante e soprattutto molto vasto, certamente mi piacerebbe approfondire ogni singola varietà.
Pubblicato da Dammi una birra.it
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