Islanda: perché il Beer Day è così importante?
Come l’Islanda ha riscoperto la sua antica passione
In una gelida giornata del 1° marzo 1989, gli islandesi celebrarono un evento storico che avrebbe cambiato per sempre le loro abitudini sociali: dopo 74 anni di proibizione, la birra tornava finalmente legale. Oggi, quella data viene festeggiata come “Beer Day”, simbolo di una libertà riconquistata e di un rapporto complesso con una bevanda che affonda le sue radici nella storia più antica dell’isola.
La storia della birra in Islanda è un affascinante intreccio di cultura, politica e identità nazionale.
I primi coloni vichinghi portarono con sé non solo la loro intraprendenza, ma anche una solida tradizione birraria.
Le antiche saghe, come l’Hávamál, celebravano già l’öl (birra) come parte integrante della vita sociale. Tuttavia, il clima rigido dell’isola, particolarmente durante la “piccola era glaciale” (1300-1850), rese praticamente impossibile la coltivazione dell’orzo, ingrediente fondamentale per la produzione della birra.
Il vero punto di svolta avvenne all’inizio del XX secolo, quando un’ondata di proibizionismo investì l’Islanda.
Ma c’era qualcosa di più profondo del semplice moralismo: la birra venne progressivamente associata alla Danimarca, potenza coloniale da cui l’Islanda cercava l’indipendenza.
Nel 1908, un referendum sancì con il 60,1% dei voti il bando totale dell’alcol, che entrò in vigore nel 1915.
La storia ci regala poi un curioso episodio di diplomazia enogastronomica: nel 1921, il bando venne parzialmente revocato a causa di una disputa commerciale con Spagna e Portogallo, che minacciarono di smettere di importare il merluzzo islandese se non fosse stato permesso l’ingresso dei loro vini. Un compromesso che aprì la prima crepa nel muro del proibizionismo.
Nonostante un nuovo referendum nel 1933 avesse abolito il proibizionismo in generale, la birra rimase sorprendentemente fuorilegge, almeno quella con una gradazione superiore al 2,25%. Gli islandesi, però, non si arresero: alcuni ricorrevano al contrabbando, altri alla produzione casalinga, mentre i più creativi aggiungevano il brennivín (un acquavite locale) alla birra leggera, creando quello che lo storico Unnar Ingvarsson ha definito un mix “interessante ma totalmente disgustoso”.
La svolta definitiva iniziò nel 1979 grazie a Davíð Scheving Thorsteinsson, un imprenditore che sfidò apertamente il sistema rifiutandosi di pagare una multa per aver tentato di importare birra dopo un viaggio d’affari. La sua protesta, seppur infruttuosa in tribunale, accese il dibattito pubblico e portò a una prima apertura: gli islandesi potevano finalmente importare, al ritorno dai loro viaggi all’estero, fino a 6 litri di birra straniera.
Il “D-Day” della birra arrivò finalmente nel 1989, quando l’Althing (il parlamento islandese) liberalizzò completamente la produzione e il consumo. L’impatto sulla società fu immediato e profondo: tra il 1989 e il 2007, mentre le vendite di superalcolici si dimezzavano, quelle della birra raddoppiavano, raggiungendo i 19,4 milioni di litri. Un rapporto dell’OMS del 2014 ha rivelato che il 62% dell’alcol consumato dagli islandesi proviene dalla birra.
Oggi, l’Islanda vanta un panorama birraio in piena effervescenza. Il consumo pro capite di bevande alcoliche di circa 65 litri) é più elevato di quello degli abitanti degli altri paesi scandinavi.
Oltre alla pionieristica Egill Skallagrímsson Brewery, fondata nel 1913 da Tómas Tómasson, (è la fabbrica di birra più antica dell’Islanda), dall’inizio degli anni 2000 il settore ha conosciuto una vera rivoluzione con l’emergere di una quindicina di microbirrifici (brugghús o ölgerð in islandese) che hanno portato innovazione e diversità nel mercato, conquistando anche numerosi riconoscimenti internazionali.
Curiosamente, la vendita di alcolici rimane comunque sotto il controllo statale attraverso l’ÁTVR (State Alcohol and Tobacco Company of Iceland) e i suoi negozi Vínbúðin, malgrado nel 2015 è stata proposta una legge per liberalizzare il mercato.
Il Beer Day, che si festeggia il 1 Marzo, rappresenta oggi molto più di una semplice ricorrenza: è la celebrazione di una libertà riconquistata, il simbolo di come una società possa evolversi mantenendo un equilibrio tra tradizione e modernità. La birra, da bevanda “non patriottica”, è diventata parte integrante della cultura islandese contemporanea, dimostrando come anche le convinzioni più radicate possano cambiare nel tempo.
L’Islanda (in islandese: Ísland) è uno stato insulare dell’Europa settentrionale con una popolazione di circa 400.000 abitanti (2021). Situata nell’Oceano Atlantico settentrionale tra la Groenlandia e la Norvegia, l’isola si trova sulla dorsale medio-atlantica, rendendola una delle regioni geologicamente più attive al mondo. La sua posizione unica determina l’eccezionale paesaggio vulcanico e geotermico che la caratterizza, mentre il suo sistema energetico è considerato un modello globale di sostenibilità, con quasi il 100% dell’elettricità e del riscaldamento derivanti da fonti rinnovabili, principalmente geotermiche e idroelettriche.
Pubblicato da Dammiunabirra.it