La dura vita del Mastrobirraio “nei tempi antichi”
Il personaggio chiave nella fabbricazione della birra è il Mastrobirraio, in tedesco il Braumeister e in inglese il Brewmaster.
A questo personaggio è legata la storia, la tradizione, il colore, i profumi e, ovviamente, il sapore della birra.
Ripercorriamone insieme la sua storia e il suo lavoro attraverso una lunga storia legata alla Germania.
Certamente anche in altri paesi birrari, come l’Inghilterra e il Belgio, sia pur con sfumature diverse, il mestiere antico del Mastrobirraio ha vissuto le stesse esperienze.
Già nel Medioevo emerge la figura del Mastrobirraio, che nella lingua latina era chiamato Braxator.
Nel XII secolo si parla di un Privmaister, nell’antico tedesco del 1400 di Briumeistar o Briumaister, più tardi di Prewmaister ed infine, da poco più di 100 anni di Braumeister.
Fatta questa cronistoria del nome vediamo come questa figura dal punto di vista storico.
La prima menzione storica lo definisce il Capo dei birrai: infatti, l’ordinamento di Norimberga fin dal 1370 dispone che “… hierfüro kain pierprew … pier prewen sol, es sei denn der gesworer prewmaister ainer dabei … “, cioè “nessun birraio è autorizzato a produrre birra se non è presente il Braumeister che ha giurato di attenersi alle leggi, dopo aver dimostrato di saper esercitare la professione”.
Mastrobirraio, solo dopo un lungo tirocinio.
Questo ruolo fu chiarito meglio nel 1493 da Alberto IV detto il Saggio, conte d’Asburgo, il quale prescrisse che nessun birraio poteva esercitare la sua professione se non avesse superato un tirocinio di almeno tre anni o se non fosse figlio legittimo di un birraio, dimostrando in ambedue i casi, però, di saper svolgere alla perfezione il suo lavoro.
Nel regolamento regionale bavarese del 1553 si accenna per tutti i mestieri dal principiante, al garzone, all’operaio, al Capo operaio.
Con quest’ultimo ruolo, che consisteva nello svolgere le fasi più delicate della produzione, ma non tutto il ciclo, si poteva diventava birraio.
Dopo che si era dimostrato di saper produrre in autonomia la birra, si poteva ottenere il titolo di Braumeister, che veniva conferito dall’autorità regionale, dopo aver prestato giuramento di fedeltà alle leggi.
Nella sua grande opera legislativa, il Duca Massimiliano I nel 1616 stabilisce che gli articoli riguardanti gli artigiani non son altro che disposizioni per le singole corporazioni e devono essere confermate anche dall’autorità locale.
Successivamente, nel 1660, prescrisse nel regolamento di Monaco di Baviera che chi volesse diventare birraio, avrebbe dovuto lavorare per due anni da apprendista in una fabbrica locale e poi per due altri anni in altre fabbriche, anche lontane, in modo da acquisire diverse esperienze nella fabbricazione di vari tipi di birra.
Il giovane, ad apprendistato compiuto, si metteva allora in cammino con il suo bagaglio e si presentava al Mastrobirraio di un’altra fabbrica, con la formula di presentazione in uso fino a pochi decenni fa: “Il Signore benedica il nostro lavoro. Porto i saluti del Braumeister da cui provengo e dei suoi birrai. Sono io stesso birraio e cerco lavoro”.
Se il Braumeister aveva la possibilità di farlo lavorare, il giovane si metteva subito all’opera e per tre o quattro mesi, senza smettere un solo giorno, poiché i soli giorni di riposo a quei tempi erano il giorno di Natale, di Pasqua e di Pentecoste.
Lo stage: 17 ore di lavoro al giorno.
Durante queste festività, però, si dovevano comunque eseguire i lavori indispensabili, come il governo delle aie di germogliazione e il travaso dai tini di fermentazione.
Tutti gli altri giorni il giovane Mastrobirraio lavorava dalle 5 del mattino alle 10 di sera.
Se invece la possibilità di lavoro non c’era, il giovane veniva ospitato per quella sera, gli davano da mangiare e molta birra; una piccola festa di buon augurio per il lavoro.
Il giorno seguente, il nostro aspirante stagista riprendeva il cammino verso un altro birrificio.
L’allievo apprendista iniziava da adolescente a conoscere il mestiere.
Era ospite del Braumeister per vitto e alloggio e doveva lavorare sodo, ma se imparava bene, la vita gli avrebbe dato molte soddisfazioni.
La sera si preparava l’acqua e il Braumeister accendeva il fuoco.
Alle 5 del mattino il Braumeister, il birraio, l’apprendista e il manovale iniziavano la miscelazione del malto nell’acqua calda.
Gli ordini impartiti dal Braumeister erano quasi militareschi, tutti dovevano eseguirli senza la minima esitazione.
Al suo via, tutti dovevano portare il forcone al centro del tino, tirare a sé la miscela, voltarla verso il bordo e mandarla verso il centro, creando così un vortice per circa un quarto d’ora.
Nel frattempo sulla parete del tino si formava una crosta di malto che doveva essere tolta utilizzando lo spigolo del forcone.
Girare la miscela e togliere togliere la crosta formata dal malto sui bordi del tino aveva tempi precisi scanditi dal Mastrobirraio che dirigeva i suoi aiutanti come un direttore d’orchestra.
Il tutto veniva ripetuto più volte senza pause.
A operazione conclusa, quando la miscelazione e la saccarificazione erano terminate, restavano solamente il Mastrobirraio con il suo assistente per iniziare la filtrazione, l’ebollizione del mosto, il luppolamento e infine il raffreddamento del mosto.
Verso sera la cotta era terminata e già contenente il lievito che si era ricavato dalla lavorazione precedente.
Iniziava così la fermentazione, la parte più delicata della produzione della birra, da questa fase dipendeva, in gran parte, la qualità della birra se ne ricavava.
Ma questa è solo la parte centrale e finale del suo lavoro.
Materie prime: scelta difficile!
Il compito del Mastrobirraio comincia prima della produzione della birra.
Deve conoscere e scegliere le materie prime, che nei tempi antichi presentavano delle variazioni di qualità notevoli.
Doveva distinguere l’orzo di qualità, quello che più confaceva alla birra che intendeva produrre.
Lo comperava dai contadini che glielo portavano in sacchi.
Con la mano tastava e sentiva se era di chicco ben turgido, se le scorze erano fini o increspate, se era omogeneo.
Poi lo esaminava alla vista e capiva se il colore era di quel giusto paglierino, non alterato da muffe o da infestazioni di insetti.
Il luppolo veniva tastato per sentirne l’umidità ed il contenuto di resine, controllava il colore e ne annusava l’aroma.
Le più fini sfumature non gli sfuggivano e già sapeva come sarebbe diventata la birra che avrebbe prodotto.
Anche l’acqua doveva essere controllata e perfettamente pura.
Dall’orzo al malto.
Il Mastrobirraio d’allora non aveva a disposizione molti strumenti, perciò doveva sapere che da un determinato volume di orzo avrebbe ricavato tanto malto, quanto gli avrebbe permesso di produrre una certa quantità di birra.
Una volta acquistate le materie prime, iniziava il processo di maltazione.
L’orzo veniva messo a macerare fino a che il chicco, piegato sull’unghia, non si rompeva.
Poi lo faceva germogliare, regolando l’umidità e la temperatura sull’aia con una giusta ventilazione, rivoltandolo più volte.
Interrompeva la germogliazione quando la piumetta aveva raggiunto la lunghezza giusta e quando dal chicco, schiacciato fra le dita, usciva un amido morbido che si lasciava spalmare come gesso bagnato.
Poi lo essicava, calcolando tempo e temperatura fino a che il malto era pronto, tostato al punto giusto.
Era un’arte produrre la birra, un’arte tramandata da Mastrobirraio ad apprendista, come da padre in figlio.
Il Mastrobirraio nei tempi antichi lavorava in modo empirico, ci volevano anni di esperienza per garantire la qualità di ogni cotta.
Le associazioni professionali, che nel passato venivano chiamate Corporazioni, hanno sempre avuto una grande importanza nel mondo dei Mastribirrai.
Fin dal Medioevo, quando le corporazioni erano una roccaforte di principi etici, morali e religiosi.
Solo nel XIX secolo si fondarono le prime scuole birrarie e gli istituti di ricerca scientifica sulla fabbricazione della birra.
La prima scuola fu fondata, nel 1865, quale facoltà birraria presso l’Università Agraria e Birraria di Weihenstephan, a circa 30 Km da Monaco di Baviera.
Oggi il Braumeister non è più il praticone empirico dei tempi antichi.
Oggi, fra grandi e piccoli birrifici, i Mastribirrai in attività sono circa un migliaio nel nostro Paese e vantano esperienze di studio e lavoro molto variegate, ma hanno un punto in comune: l’essere innamorati del proprio lavoro.
Pubblicato da dammiunabirra.it
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